Il blog di Rosanna Spinazzola

mercoledì 9 dicembre 2015

La prima stesura di un romanzo e L' Opera al nero alchemica

[Suggerimento musicale per la lettura: The crow_soundtrack]


Questi primi, gelidi giorni di Dicembre mi si stanno snocciolando sul calendario uno dietro l’altro sotto l’egida del Corvo.
A dire il vero, è da ottobre che il Corvo mi si è appollaiato su una spalla, e mi gracchia nell’orecchio con quel suo verso così dolce.
Il punto è che, con mio grande disappunto, che temo dovrò sorbirmi il suo gracchiare per altri mesi. Forse per tutto l’inverno.

CORVO IMPERIALE - Raven - Corvus corax - Luogo: Cogne (AO) - Autore: Alvaro
Ogni tanto mi piace trovare parallelismi tra quello che faccio e l’alchimia. Un’abitudine indegnamente mutuata da Jung (anch’egli sovente co-protagonista dei miei post) e dalla lettura entusiasta del suo Psicologia e alchimia[1]
In questo saggio lo psichiatra svizzero prova a spiegare come le fasi attraverso le quali avviene l'opus alchemicum corrispondano a quelle del “processo di individuazione”, cioè quel processo nel quale si prende consapevolezza della propria individualità e si scopre la propria vera essenza interiore.
Jung approfondì successivamente questa interessantissima tesi in Psicologia del transfert (1946), Saggi sull'alchimia (1948) e nel Mysterium Coniunctionis (1956).

Quando la sciatica mi costringe a letto, soprattutto con la canicola estiva, mi consolo con letture leggere

Dicevo: ogni tanto mi capita di riconoscere concetti che collegano la scrittura a quella paccottiglia di conoscenze mistico-esoteriche che mi ritrovo, mio malgrado, in testa per aver divorato parecchi libercoli su tali argomenti. Spesso, di pessima qualità e dubbio contenuto, devo riconoscerlo, ma talvolta forieri di pietre focaie utili a far brillare qualche piccola, debole e fugace scintilla di intuizione.
Abitualmente, non dedico spazio scritto a queste mie congetture, che rimangono nel mondo iperuranico delle (mie) idee, ma di tanto in tanto ho fatto qualche strappo alla regola, come ad esempio in questo articolo sulle quattro parole del mago e la creazione artistica.

Così, dimostrando grande coerenza, strappo di nuovo la regola che mi sono data io stessa, e scrivo (poche righe, lo prometto), sui tre stadi in cui la “materia prima” (l’idea di una trama) mescolata a un cucc.no di zolfo, ½ l. di mercurio e un pizzico di sale, e riscaldata a fuoco vivace nella padella dell’atanor, si trasforma nella pagnotta filosofale.
E qualcuno si starà chiedendo, cosa diamine c’entra questo con la scrittura?
C’entra, c’entra.
Questi stadi (i principali sono tre) prendono il nome dal colore che la materia assume man mano che trasmuta.

All’inizio, quando la materia si dissolve, putrefacendosi, abbiamo La Nigredo (Opera al nero, rappresentata da un Corvo). Poi, la stessa passa alla fase successiva, in cui si purifica sublimandosi, chiamata Albedo (Opera al bianco, rappresentata da un Cigno), fino a quando non si ricompone e si fissa in una nuova struttura, migliore, che è la Rubedo (Opera al rosso, rappresentata da una Fenice).

Ora, io sfido qualsiasi scrittore a non raccontare la propria esperienza di scrittura e stesura di un romanzo che non passi da tutte e tre queste fasi.

Prima stesura.
Arriva un’idea, o un personaggio. Le/gli si appicciano sopra un paio di ostacoli, e si prova a immaginare come si può sviluppare/reagisce. Si abbozza una trama. Si iniziano a vomitare parole a caso, una dietro l’altra. E man mano che si procede, il personaggio prende vita, acquisisce spessore, vive di vita propria e sceglie cose che tu scrittore non ha previsto. Così, la struttura iniziale, si modifica. Spesso, dopo uno o due mesi di scrittura, i personaggi sembrano un po’ appassire. La trama non ci sembra più tanto coerente e, di pari passo, la nostra determinazione inizia a cedere. Sì, insomma, come scriveva Anton Čechov “Qualsiasi idiota può superare una crisi. È il quotidiano che ci logora”.
Continuare a scrivere nonostante le idee che si dissolvono e la nostra determinazione inizi a odorare di stantio, non è facile, e richiede una certa presenza di spirito. Le visioni che abbiamo in testa, che sembravano così brillanti o divertenti o drammatiche, sbiadiscono. Anzi, meglio: si dissolvono, putrefacendosi.
Eccola qui, l’Opera al Nero.
Eccola, la prima stesura di una trama, inizialmente lucidata a dovere e strutturata in un certo modo, che non ha proprio voglia di stare lì ferma e rigida, e si ribella stiracchiandosi e agitandosi.
Lo scrittore inesperto non lo aveva previsto e la sua volontà inizia a cedere sotto i colpi impietosi, ma ahimé inesorabili, della Nigredo.
Come dice Neil Gaiman: “Tutti sono capaci di iniziare un romanzo. Se sei uno scrittore, puoi anche finirlo”. È proprio a questo punto che, i più, abbandonano.
La nostra prima stesura muove i suoi traballanti passi sotto le ali del Corvo, tra i miasmi putrescenti della Nigredo.

Arrivare fino alla fine richiede qualità interiori sulle quali il buon Jung ha sprecato parecchi etti di carta.

Durante la revisione (seconda fase), il testo si sfoltisce. Si tagliano le parti noiose (si spera), si snelliscono i personaggi e si alleggeriscono le scene. Anche la sintassi perde le zavorre dei pensieri confusi della prima fase oscura. Si decide di riscrivere qualche parte (a volte interi capitoli) e di tagliare/aggiungere personaggi, dialoghi, o cambiare la voce narrante.
È l’Albedo. La revisione ha (o meglio, dovrebbe avere) il candore del Cigno.

E infine, ciò che si è deciso durante la purificazione della “materia prima” (la nostra storia, le nostre idee), viene fissato di nuovo, nella seconda stesura (ma facciamo anche nella terza, quarta, eccetera eccetera).
La trama si fissa, e ogni cosa trova il suo posto. L’idea iniziale non sembra così orrenda, con questo nuovo vestitino e il fiocco tra i capelli. Anzi: pare anche graziosa.
La seconda stesura è la Rubedo. La Fenice risorge dalle sue ceneri.

Sarà bello quel momento, ma non è oggi.
Oggi, ho il pennuto nero che mi artiglia la spalla e gracchia il suo verso stridulo dentro l’orecchio e dritto fino al cranio.
È in momenti come questi che fatico a non rinnegare la mia scelta etica vegetariana, resistendo per non mettergli le mani al collo e strozzarlo.   
Non posso. È una fase obbligata e necessaria.
Devo soltanto resistere.

Giungerà il candido Cigno scivolando sulla pelle dell’acqua. Giungerà, con tutti i suoi problemi, le ansie da revisione e le insicurezze che si trascina dietro.
Oh, giungerà. Ma non è questo il giorno.
E dopo di lui, sorgerà la Fenice, con la sua disperata resistenza e il suo fulgore dorato striato di rosso.
Sorgerà, ma non è questo il giorno.

Uno dopo l’altro verranno a dare il cambio al Corvo.

E poi?
E poi niente, si ricomincia.
La Grande Opera non è nel risultato, ma soltanto nell’opus. Appunto.

Lui disapprova la procrastinazione.
E adesso scusate, ma devo proprio lasciarvi. Devo dar da mangiare al pennuto: un migliaio di parole almeno, o non la smetterà più di gracchiare.






[1] Jung Carl G, Psicologia e alchimia, Bollati Boringhieri (2006, XIV-552 p., ill., brossura)

domenica 29 novembre 2015

"Come and See. You have the key" (India. Photobook. Photojournalism. Children. Noprofit.)

                  [Suggerimento musicale per la lettura. Ennio Morricone: The Mission]

Pur praticando la Meditazione Universale della Scuola della Spiritualità, derivata dalla tradizione radhasoami della Sant Mat induista, non ho mai visitato nemmeno un tempio, o  passeggiato per le strade dell’India, nei suoi colori e tra la sua gente.

Ma ho un caro amico che ci è stato.
Si chiama Leo Fabbrizio, e ha una passione per i viaggi e la fotografia (è lui che mi ha fatto queste foto con il maestro Tonino e il Bibliomotocarro).

Una sera di Agosto mi ha raccontato di aver visitato il più grande Slum di Mumbai, nel Dharavi, per mezzo dell’associazione “Reality Gives” che, grazie a questo tour, raccoglie i fondi per promuovere iniziative a favore dei bambini svantaggiati che abitano lì.

Davanti a una tazza di tè ghiacciato, Leo mi ha raccontato quello che ha visto e vissuto e provato in quel viaggio straordinario.
Mi ha fatto vedere le foto che aveva scattato, mentre mi descriveva le loro povere condizioni di vita. Soprattutto, mi ha parlato dei bambini, dei loro sorrisi e dei loro occhi, brillanti come diamanti nella polvere.
Sono andata via da casa sua molte ore dopo, turbata e commossa.

È per questo che quando, qualche mese dopo, mi ha chiesto una mano per realizzare un progetto di crowdfunding e contribuire pragmaticamente a migliorare le cose, non ho potuto rifiutare. Insieme a un grafico e una traduttrice, ho aiutato con quello che so fare meglio: scrivere.

In una manciata di incontri  a distanza su Skype con gli altri “membri della squadra”, altrettante telefonate, messaggi su WhatsApp e brainstorming dal vivo, l’idea ha preso forma.

Ora il progetto è on line, sulla piattaforma Indiegogo.
Si chiama “Come and See. You have the Key”.
     A questo link puoi trovare tutte le informazioni.
     Qui la pagina facebook.

Se sei arrivato a leggere fin qui, e magari hai intenzione di sbirciare di là nella pagine di Indiegogo per capire di cosa si tratta e, come me, hai sentito anche solo per un attimo che sarebbe piaciuto anche a te riuscire a far brillare due occhi e un sorriso nella polvere, ti do una buona notizia.
Puoi farlo.
Puoi contribuire.
Anche solo con un euro puoi fare la differenza.

Per Natale, regalati qualcosa di importante. Regalati il sorriso di un bambino.
Non c’è gioiello più bello che tu possa indossare, né indumento più caldo.

Aiutami a condividere questo link.
Grazie.

Credits Leo Fabbrizio photographer




giovedì 26 novembre 2015

Di NaNoWriMo e Guardiani della Soglia

[Suggerimento musicale per la lettura. The Hobbit: Misty Mountain Cold]


Sono reduce da una “competizione contro me stessa” che mi ha in parte sfiancata e in parte entusiasmata. Spesso le due cose accadevano contemporaneamente.
Ho partecipato al NaNoWriMo (e vinto: qui sotto ne fornisco la prova), che sta per “National Novel Writing Month”.



Si tratta di una sfida a cui partecipano centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo.
In breve, si devono scrivere 50.000 parole di un romanzo in un mese.
Non si tratta di finirlo, o di scrivere un capolavoro: soltanto 50.000 parole di una informe bozza che potrebbe essere la larva da cui far sviluppare, con l’aggiunta di ulteriori parole e un paio di riscritture (facciamo anche tre o quattro), una farfalla.

Cosa si vince, se si arriva alla fine?
Quello che i monaci zen cercano di ottenere in anni di meditazione e preghiere: una vittoria su se stessi.

A parte sconti per applicazioni di scrittura, acquisto libri, eccetera, infatti, il contest ha l’unico obiettivo di dimostrare a noi stessi che possiamo farcela.

C’è un bel gruppo di sostegno su facebook e un colorato forum sul sito, dove altri NaNos come me si sono sfogati nei momenti di difficoltà, dubbio e stanchezza, ricevendo l’incoraggiamento degli altri concorrenti in un bell’ esempio di sportività tra scrittori.
Perché, diciamocelo, a scoraggiarci sono buoni tutti.
E i più bravi a farlo, siamo noi stessi.

Ho terminato la mia personale sfida, contro ogni mia previsione, con dieci giorni di anticipo. Nonostante gli spostamenti in lungo e in largo per l’Italia e le difficoltà oggettive che ho dovuto affrontare in questo freddo mese di Novembre, ce l’ho fatta.
L’ho fatto. Ne vado fiera.
Non importa se quello che ho scritto è illeggibile. E’ soltanto una prima stesura. Citando Hemingway “la prima bozza di qualsiasi cosa è merda”.
Concordo.
Scrivere è, infatti, riscrivere.

In questo mese di scrittura forsennata, ho notato un incremento delle mie ansie proporzionato al numero di parole buttate giù.
E più le combattevo, più loro aumentavano.
E più scrivevo, più loro aumentavano.
Soprattutto di sera.

Un paio di notti, confesso, non mi hanno fatto chiudere occhio.

Finché, una notte in cui mi tormentavano con accanita ferocia, ho avuto una illuminazione.
Che sciocca a non capirlo prima.
Subito dopo, sono crollata in un profondo sonno ristoratore.

Quello che ho capito è che più forza mettono loro nell’accanirsi contro di me, più io so di essere sulla strada giusta. E l’ho capito grazie a Joseph Campbell.

Le mie ansie avevano la forma di un Guardiano della Soglia.

Nel suo brillante lavoro “L’eroe dai mille volti[1], Campbell sostiene che gli archetipi individuati da Jung (di cui era grande stimatore) condividono la struttura dei miti (delle leggende e delle fiabe) di ogni cultura del mondo.
 E’ il monomito, come egli lo definisce, in cui ogni personaggio che ricalca un archetipo cambia nome e aspetto, ma mai funzione (un lavoro che fa il paio  con “Morfologia della fiaba” e “Le radici storiche dei racconti di magia” del formalista russo Vladimir Propp, di cui ho parlato brevemente qui).

Il Guardiano della Soglia è uno degli archetipi.
Come il nome stesso indica, difende un passaggio oltre il quale c’è esattamente ciò che noi desideriamo.
La sua caratteristica principale è quella di essere alimentato dalle paure di chi lo affronta: più abbiamo paura di lui, più diventa forte.

Come spezzare la catena?

Rudolf Steiner, filosofo e fondatore dell’Antroposofia, ce ne parla nel suo "La Scienza Occulta nelle sue linee generali"[2], dove dice che Il Guardiano viene superato solo quando si riesce a fargli assumere una forma più amichevole.

Il molliccio. Questa la capiranno solo i fan di Harry Potter.

I Guardiani non sono lì per terrorizzarci senza un motivo. Come dicevo sopra, infatti, ogni archetipo ha una precisa funzione.
Essi ci proteggono da noi stessi, dai nostri fallimenti.

Julia Cameron ne “La via dell’artista[3], lo chiama brillantemente “Il Censore”.

Il Censore ci sussurra frasi meravigliose quando meno ce lo aspettiamo, quando siamo in fila alla cassa del supermercato, laviamo i pavimenti o siamo sotto la doccia.
A me, sempre prima di addormentarmi.
Borbotta con la sua vocina: “Lo chiami scrivere quello? Dai, dimmi che è uno scherzo, su. Non conosci nemmeno la punteggiatura. Se non ce l’hai fatta fino ad adesso non ce la farai mai. Non sai nemmeno come si formatta un testo. Ehi, e la chiami trama quella schifezza immonda che hai buttato giù? Informe come un’anguilla. A nessuno interesserà ciò che scrivi. E poi, sei troppo vecchia per questa roba, non si campa d’aria. Dammi retta, getta la spugna.”

E la cosa interessante del Guardiano/Censore, è che lo fa per il nostro bene!
Sissignore: cerca di distruggerci per proteggerci. Interviene tutte quelle volte che usciamo dalla nostra comfort zone, quando ci dedichiamo alle cose che contano davvero per noi, che ci fanno sentire vivi, ma mettono a repentaglio la stabilità e l'equilibrio di ciò che abbiamo raggiunto.
Il Censore è inserito nell’area sinistra del cervello, quella dedicata alla sopravvivenza. E’ un residuo della parte incaricata di decidere se fosse sicuro per noi lasciare la foresta e andare fuori. Il nostro Guardiano/Censore confonde ogni nostro idea creativa con una bestia pericolosa. Le uniche cose che gli piacciono sono quelle che ha già visto prima. E per molte volte. 
Cose sicure. La routine. La regolarità. 
Il divano accogliente, la canottiera lana fuori e cotone dentro, il garage sotto casa, il caffè delle otto e il tè delle cinque.
Ascoltate il vostro Censore e vi dirà che qualsiasi cosa originale (e nuova) è sbagliata. E pericolosa. E che vi conviene non farla, se non volete rovinare la vostra vita.
Ma ciò è falso.

Qualsiasi cosa ci dica, non è mai, mai, mai, e ripeto mai (l’ho già detto, mai?) la verità.

Ma come neutralizzarlo? Come zittirlo? Si può sconfiggerlo?
Ho buone notizie. Si può fare.

Ovviamente ci vuole molta pratica, e una buona dose di pazienza.

E’ come un braccio di ferro tra uno che si allena da trent’ anni (o quant'è l’età della costruzione della nostra personalità) e uno che è appena nato (il nostro desiderio creativo, a cui non è mai stato dato sufficiente spazio).

Quando crediamo di averlo annichilito ecco che, per non essere riconosciuto, ritorna con un'altra forma. 
Non è la scrittura il problema, dice, è quella lavatrice che non può proprio attendere. Ma cos'era quell'articolo scontato su Amazon che hai intravisto in un annuncio pubblicitario due mesi fa? E lavati quei capelli, per l'amor del cielo. Devi. Hai chiamato tua madre/fidanzato/amica del cuore? Si aspettano che tu lo faccia. Vuoi deluderli? Sei un'ingrata. E l'amico delle scuole elementari, eh? da quant'è che non lo senti? Perché non lo chiami adesso
E se tutto ciò non dovesse bastare ecco che va a ripescare nella memoria un vecchio ricordo doloroso. Un rimpianto. O un senso di colpa (in verità, questi ultimi sono i suoi preferiti) per qualcosa accaduto cinque, dieci, quindici anni fa. Sentiti in colpa, dice. Soffri. Piangi. Fatti salire l'ansia ed espia. Adesso.
Tutto, purché tu metta giù quella maledetta penna!

E' davvero un infame.

La Cameron suggerisce, tra i vari esercizi, di farne una caricatura da appendere di fronte alla nostra scrivania.
Un disegno da guardare ogni volta che apre quella bocca immonda per tirarci secchiate d’acqua fredda.
Ricordo che all’epoca, quando leggevo “La via dell’artista”, proprio sotto al disegno del mio personale Censore (che ha un dente solo e i brufoli sul naso), scrissi a mano “Non fai paura proprio a nessuno”.

In effetti, a posteriori, vi dirò: mi fa un po’ pena (e cercherò di ricordarmelo stasera quando, prima che io riesca a prendere sonno, mi sussurrerà le sue solite, gentili frasi di incoraggiamento).
Il Guardiano della Soglia è lì per verificare quanto, davvero, teniamo a qualcosa.

La sfinge di Tebe. Un altro simpatico Guardiano.

Il nostro desiderio è forte abbastanza da fornirci ciò che ci occorre per affrontare il Drago?
E non per ucciderlo (seppur brontolone, è sempre un nostro alleato, dopotutto), ma per rassicurarlo.
Ci mette alla prova: sapremo superarla?
Sonda la nostra volontà e, in un certo senso, la rinforza.
E più noi ci addentriamo nel reame dell’incerto, più lui tenta di impedirci di passare.
E’ un nemico solo all’apparenza.
Il Guardiano della Soglia, siamo noi. O meglio: è una parte di noi, i nostri demoni interiori. Le paure, le ferite, le debolezze.
Abbiatene cura, ha soltanto paura. Lo fa per proteggerci.
Joseph Campbelli dice che questa resistenza è una fonte d'energia. Il Guardiano va incorporato. E’ un’arma nelle nostre mani.
Un aspetto di noi con cui dobbiamo confrontarci e fare pace, una volta per tutte.

Se l’eroe ha la peggio col Guardiano, dice lo studioso, è soltanto perché non ha saputo abbandonare le sue illusioni.

Ed è al Guardiano che si riferisce Natalie Goldberg in “Scrivere Zen[4] quando dice:
"Tenete la mano in movimento, non cancellate, non preoccupatevi dell'ortografia, della punteggiatura e della grammatica, perdete il controllo. Non pensate, non fatevi invischiare dalla logica, puntate alla giugulare. Se scrivendo viene fuori qualcosa che vi fa paura o vi fa sentire esposti, tuffatevici dentro. Probabilmente è carico di energia."

Ma addomesticare un Drago non è cosa da tutti. Ci vuole tenacia, perseveranza, pazienza e una buona dose di follia.
E vi dirò di più: il divertimento è tutto lì.

Cosa mi ha dato dunque questo NaNoWriMo?
Oltre alla forza di lanciare qualche bistecca farcita di sedativo al Guardiano della Soglia così da permettermi di superare i cancelli senza timore, mi ha ricordato che, di qualsiasi cosa si tratti, se non costa niente farla, allora non vale la pena farla.

Sdentato, il mio Guardiano, e io. Ormai (quasi) buoni amici: mi porta dove nessun altro va. 

 Buona sfida a tutti!







[1] Campbell J., L’Eroe dai mille volti, ed. Guanda (Marzo,  2000)
[2] Steiner R., La scienza occulta, Ed. Antroposofica Editrice (Aprile, 2005)
[3] Cameron G., La via dell’artista, ed. Longanesi (Gennaio, 1998)
[4]  Goldberg N., Scrivere zen, ed. Astrolabio Ubaldini, (1987)