Il blog di Rosanna Spinazzola

domenica 13 novembre 2011

Una fiaba_*La leggenda dell'Amica Ancestrale*_

Un' anteprima, un progetto, una fiaba.
"La leggenda dell'Amica Ancestraleè una storia che parla di come le donne smarriscano il senso originario della propria bellezza e femminilità  per adattarsi a modelli prestabiliti (da altri) ed errati.
Affinchè le bambine, nel loro futuro di donne, facciano risplendere la loro magnifica unicità.

Un dettaglio di una prima bozza realizzata da Laura Iorio:


"L’Amica Ancestrale abita sull’orlo del deserto. Ora ha l’aspetto di una bambina, ora di una vecchia ma sempre porta appesi al collo un sacchetto di pelle umana e uno specchietto. Ormai solo le leggende raccontano di lei, celate nel cuore di vecchie cantastorie."

"La Légende de l'Amie Ancestrale" est un récit qui parle de la manière dont les femmes perdent leur féminité originelle en s’adaptant, en dénaturant leur vraie nature pour des modèles pré-établis et erronés.
C’est un message à l’attention des jeunes filles afin qu’elles trouvent en elles leur propre singularité et leur propre beauté.

giovedì 10 novembre 2011

Una fiaba_*Storia di una Scintilla*_

Ecco l'anteprima di un progetto che sta nascendo proprio in questi freddi e bagnati giorni (insieme a molti altri). Una fiaba illustrata. Affinché le menti dei bambini ricordino ciò che già sanno.

 "Storia di una Scintilla", illustrata da MICHELA BURZO è un racconto che parla di una mancanza: la perdita di uno o di entrambi i genitori e il percorso che una bambina fa, attraverso gli Spiriti degli antenati, per ritrovarli. Ovvero per sempre nel proprio cuore.

"Histoire d'une Étincelle" illustré de MICHELA BURZO, est un récit qui parle d'un manque:  la perte d'un ou des deux parents et du parcours qu’une fillette accomplit, à travers les Esprits des Aïeux, pour les rejoindre. À savoir l'aptitude à déterminer où ils demeureront à jamais dans le cœur

martedì 8 novembre 2011

Premio letterario Coppedè

Un concorso letterario, indetto dal Comune di Roma. Un premio dedicato al quartiere Coppedè, “unico esempio a Roma dell’eclettismo dell’architetto e scultore fiorentino Gino Coppedè”.
Chi  conosce Roma non può ignorare questo quartiere che combina in maniera originale stili architettonici tanto diversi. Liberty, Art Decò, Gotico e Barocco, fusi con l’arte medievale, rinascimentale e dell’antica Grecia. Il risultato è conturbante, spiazzante, ammaliante.
Una zona franca nella frenesia caotica dell’Urbe.
Per queste creazioni surreali ho creato una storia brevissima. Il titolo è La casa del quartiere Coppedè
SINOSSI
Gualtiero, il protagonista, abita il quartiere nell’immediato dopoguerra. Soggiogato da quelle visioni di calce e cemento cade vittima delle sue stesse illusioni e, semplicemente, perde il senno. Vediamo il quartiere attraverso i suoi sensi, i suoi sentimenti. Angoscia, paura, inquietudine. Sente che il quartiere lo ha condannato a una esistenza diversa, limitata. Lo imprigiona, gli toglie l’aria, la libertà. Ma è davvero così? In un “mondo esterno” in cui la “malta grezza del materialismo” si è infiltrata ovunque, chi è davvero il folle? Chi vive imprigionato e conduce una esistenza limitata? Non lui.

Deve essere piaciuto, a giudicare dal risultato. Ecco qualche foto della premiazione






La targa e la pubblicazione dei racconti 



-Qui il racconto completo, con il titolo cambiato (chissà perché): La casa del quartiere Coppedè

-L’incipit del mio racconto:

LA CASA DEL QUARTIERE COPPEDE’

E così è arrivata la fine. Il tempo si è ripiegato su se stesso ed ha ingoiato ogni cosa. Non rimane più nulla: nemmeno detriti. Sono l’unico superstite. Il resto è carne guasta.
Fatico a ricostruire gli avvenimenti, ma è necessario. Per troppo tempo ho conservato il segreto.

-Il link al sito Premio Coppedè


Uno dei ragazzi che ha valutato il mio racconto per la selezione si è venuto a complimentare. Mi ha detto di averlo letto di notte e durante la lettura si è dovuto alzare per accendere la luce. La storia gli ha provocato una inquietudine sottile che gli è rimasta attaccata addosso per ore.
Quale migliore complimento poteva mai essermi fatto?









lunedì 7 novembre 2011

Rivista letteraria Origine

Era il 2002, mi pare. Il cuore della mia formazione universitaria. 
Nella sovraffollata Casa dello Studente romana di via De Lollis, dentro una stanza larga poco più di tre metri per tre, un gruppo di ragazzi ragionava di letteratura. 
Incontravo  tutte le sere (o quasi), Michele Infante (che divenne poi il Direttore Responsabile), l’ottimo Paolo Vecchio, il talentuoso Davide L. Malesi, il redattore Roberto Balzano e pochi altri. Erano gli albori. Eravamo pochi.  Uno sparuto  manipolo di appassionati della carta. 

Ricordo bene il fascio di luce della lampada che avvolgeva quei corpi giovani, illuminando volti con barbe morbide, rade. Poco più che adolescenti, poco meno di uomini. In quegli spazi angusti, seduti sul pavimento perché non c’erano sufficienti sedie, fondammo la rivista letteraria Origine.
Questa qui: Rivista letteraria Origine
Ne sentivamo l’esigenza. La spinta creatrice soverchiava le nostre difficoltà, le ristrettezze, i limiti contro i quali sbattevamo tutti i giorni. Dall’editoriale di quel numero 0 di Michele Infante rileggo: «questo progetto nasce dall’esigenza di una fruizione diversa dell’arte e di svecchiamento di un sistema editoriale che vede la pubblicazione sempre di soliti noti, scrittori o intellettuali […] L’attuale panorama letterario non permette a giovani autori l’accesso alle stampe. La nostra scommessa è ritagliarci uno spazio capace di accogliere idee e voci “fresche”, di far nascere interesse, stimolare discussioni critiche

Una scommessa di carta in un’epoca in cui il virtuale cominciava la sua forsennata corsa verso il futuro. Certamente follia, ma sacra.
La rivista fu fondata, con molti sforzi da parte di tutti, riuscendo a essere pubblicata per Natale. Portai a casa dai miei quel numero 0, fiera del risultato ottenuto.
Rileggendolo ora, a distanza di quasi dieci anni, il mio racconto mi pare brutto, scritto male, esposto peggio, senza trama, senza mordente. Eppure mi commuove. Per la passione, la speranza, il fervore quasi religioso per quel progetto. 

Cosa successe poi?

Mi persi io, forse mi persero loro, ricordo poco. Qualche screzio, gli esami che pendevano come una ghigliottina pronta a scattare sulla mia borsa di studio. Accadde che la trama si sfilacciò e non fu rammendata.

Eppure la parola Origine evoca ancora, in me, quell’autunno lontano in cui la passione per la letteratura mi unì a uno sparuto manipolo di giovani e inesperti eroi.

La scrittura, per me.


Apro questo blog con un paio di mie considerazioni, frutto di pensieri fugaci che mi hanno afferrato questa mattina.
Mi chiedevo cosa fosse la scrittura per me.
Credo che esista un pregiudizio molto comune. Quello per cui tutti siano capaci di scrivere, che tutti possano farlo agevolmente a patto di conoscere l'alfabeto.
Credo sia sbagliato.
Conoscere le regole della grammatica, della sintassi e dell'ortografia non significa essere scrittori. Almeno quanto avere gli occhi non significhi essere esperti d’arte.
Essere scrittori è un dover essere scrittori: per me, è sentire tirannicamente  la necessità di usare questo mezzo, e questo solo, per comunicare ciò che è essenziale,  agli altri e, soprattutto, a se stessi.  Essenziale nel senso etimologico del termine:  l’essere di una cosa, ciò che ne costituisce la sostanza, la vera radice. Non ciò che appare, ma ciò che è.
E’ desiderare ardentemente, senza scampo.
Per quanto mi riguarda è indagare, attraverso il verbo, per apprendere cose di sé che ancora non si sanno. E’ bramare di cristallizzare il Logos nella illusione di poterlo meglio comprendere.
Scrivere è ascoltare.
Ecco. Ci sono. Per me scrivere è ascoltare, prestare attenzione, rimanere in silenzio e ricevere. Solamente poi, restituire.
Per cui, secondo me, se non è disposto ad ascoltare, chiunque potrebbe imparare a scrivere, ma non sarebbe mai uno scrittore. Almeno, non lo sarebbe come lo intendo io.